Sono le 15.30 e siamo tutti vivi by Yevgenia Belorusets

Sono le 15.30 e siamo tutti vivi by Yevgenia Belorusets

autore:Yevgenia Belorusets [Belorusets, Yevgenia]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2023-01-27T12:00:00+00:00


Mercoledì, 16 marzo

Con una rovina non si parla. La si contempla e la si interroga in silenzio, come testimone muta della guerra in mezzo alla città. L’atto stesso di concentrare su di essa il proprio sguardo, di fissarla, conferisce a chi la osserva una certa distanza dagli avvenimenti.

Distanza in che senso? Di certo, una simile distanza non ha nulla di emotivo; conferisce piuttosto fermezza e, insieme, la sensazione di poter tenere sotto controllo fino a che punto la guerra si avvicini a qualcuno. La rovina accorcia drammaticamente la distanza dalla guerra; come una traccia immensa di una forza disumana, inghiotte l’umanità che ha dato forma alla via dove mi trovo ora.

Continuo a riflettere su che cosa significhi osservare in città le conseguenze dei bombardamenti. È come una specie di cantiere che però non edifica niente, ma abbatte.

Ieri, davanti alle rovine, fra i vetri in frantumi, frammenti di metallo deformati e pezzi di tetto, ho incontrato una donna. Mi ha rivolto lei la parola, voleva conoscermi. Una signora anziana, in cerca di sigarette. Il chiosco dove le comprava tutti i giorni era gravemente danneggiato, non aveva più né porta né finestre. Neppure i negozianti si vedevano in giro; le sigarette erano lì, alla mercé di chiunque, in vetrina, e la signora chiedeva a tutti dove avrebbe potuto comprare un pacchetto lì vicino. Io le ho consigliato di lasciare semplicemente i soldi in vetrina e di prendere le sigarette, come in una specie di self-service. Poi le ho domandato come mai fosse rimasta a Kiev, in questo periodo così incerto.

Mi ha spiegato che sua madre, che aveva cent’anni e tre mesi, è morta una settimana fa. Di conseguenza per lei e suo marito era impensabile andarsene da Kiev nei primi giorni di guerra. Ormai lei è qui e molto probabilmente ci resterà. Aveva gli occhi che le sfavillavano, sembrava perfino un pochino felice.

Era una matematica, una studiosa, giunta a Kiev da Murmansk quand’era ancora bambina. In tono divertito, mi ha raccontato la storia intricata della sua famiglia, scampata di volta in volta alle guerre, alle repressioni di Stalin e alla fame. Parlava con un timbro melodioso e con facilità, come se le parole del suo racconto si fossero già unite l’una all’altra in anticipo e finora fosse mancato soltanto un ascoltatore. Malgrado l’età, il suo volto aveva qualcosa di giovane; fra le schegge e le pietre si muoveva svelta e con grazia. La nostra conversazione non è durata a lungo, eppure ci ripenso ancora adesso. Talvolta in guerra si ha la sensazione di non voler perdere i contatti con gli altri, neppure dopo incontri casuali. E ora che sto scrivendo del nostro, forse lo sto facendo proprio perché questo non accada.

Ora l’allarme aereo tace, siamo al sicuro. Durante il coprifuoco le autorità raccomandano di oscurare le finestre e di accendere la luce il meno possibile. Le vie sono assolutamente deserte, le case sembrano abbandonate. È confortante pensare che adesso nessun pericolo stia minacciando almeno queste case che cercano con tutte le loro forze di mascherare l’esistenza dei loro abitanti, rendendoli invisibili.



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